A distanza di qualche settimana dal convegno nazionale FLaI del 14/15 maggio e a seguito dei numerosi commenti ricevuti, da varie parti, per lo più volti a ringraziare l’organizzazione e l’occasione d’incontro piacevole, creatasi in un clima di confronto e condivisione, siamo qui a raccogliere alcune impressioni, per dar voce a quello che, secondo noi, è il vero obiettivo di uno spazio di lavoro: il rilancio.
Il filo conduttore che ha accompagnato i diversi interventi delle due giornate è stato il monito, l’avvertimento e l’attenzione nei confronti di un rischio possibile nelle varie istituzioni della cura. Il rischio da tenere a mente è che si possa passare da un anonimato, un “senza volto e assenza di leadership” ad un principio paterno. Lì dove il luogo della cura non incontra l’audacia di assumersi anche il ruolo del lasciar dire qualcosa al paziente, ma pone solo la cura del sintomo come soluzione, si ingaggia in un discorso paternalistico, in cui il sapere chiude ogni domanda con la risposta.
Compito e stile di lavoro della psicoanalisi, invece, è quello di andare nella direzione di un’apertura della domanda. Implicare soggettivamente il paziente, lì dove l’ascolto analitico intravede la possibilità di farlo è la chiave che fa la differenza tra la psicoanalisi e altre forme di lavoro. Pare essere proprio in gioco un tipo di ascolto differente, che possa riconoscere, in alcuni significanti, la presenza del soggetto e lasciare che questi trovino articolazione.
Nel corso del convegno è emerso che il dire, il raccontare e l’ascoltare in un lavoro con i bambini e con gli adolescenti, nella clinica attuale, non possa essere equiparabile sempre a quello con gli adulti, per una serie di ragioni:
- Il più delle volte i setting di lavoro con i giovani non sono solo gli studi privati, ma sempre di più sono le scuole e i servizi. E lavorare fuori setting porta ad una modifica strutturale importante in cui, anche se non si svolge un’analisi, gli effetti d’analisi si possono ben avvertire se l’analista non modifica la sua posizione etica, che gli deriva fondamentalmente da una sua personale elaborazione.
- Il “bagno di parole” in cui sono immersi i giovani di oggi non è equiparabile a quello in cui erano immersi i giovani di ieri. Questo implica un necessario spazio di costruzione, in primis della parola, poi di una narrazione che permetta loro di fare bordo all’angoscia che gli deriva dal linguaggio sociale così dominante e psicotizzante.
In una società in cui le parole sono nella deprivazione – il primato ormai da decenni è dell’immagine e negli ultimi tre anni lo è addirittura della segregazione- un lavoro orientato analiticamente può aiutare a costruire i presupposti per la rinascita della parola che, tutto sommato, coincide con un principio di esistenza e di soggettivazione.
Lacan stesso parla, nel Seminario IV “La relazione d’oggetto”, del lavoro fatto da Freud con il piccolo Hans, per permettergli di creare un mito, annodando i suoi significanti, in favore di una narrazione. E dice quanto segue:
“(Hans) Conosce però molto bene il favore prezioso che gli offre il fatto di poter parlare, e lo sottolinea senza sosta. Quando dice questo o quello, e gli si risponde che va bene o va male – Poco importa, dice, va sempre bene, visto che possiamo inviarlo al professore. Non si tratta solamente di parlare, ma di parlare a qualcuno. Nell’osservazione troviamo più di una considerazione di questo tipo, dove il piccolo Hans mostra la sensazione della fecondità propria che gli è offerta dal fatto che, insomma, trova con chi parlare. Sarebbe stupefacente che non ci accorgessimo, in questa occasione, che si trova qui tutto il prezioso, e l’efficacia dell’analisi.
Tale è la prima analisi fatta con un bambino.”(1)
Afferma poi che, in questo lavoro, Freud abbia introdotto dei significanti, a partire da quelli portati dal soggetto, per consentire una “messa in prospettiva”.
“In quel che vi racconto non c’è nessuna forzatura, dato che si trova nel testo, a condizione però di far emergere impercettibilmente il punto di prospettiva affinché l’osservazione cessi di essere un labirinto nel quale ci si perde e ogni dettaglio prenda, invece , senso.”(2)
Se vogliamo pensare alla psicoanalisi nei tempi della crisi, forse un rilancio possibile potrebbe essere quello di accogliere l’occasione di formarsi analiticamente in un lavoro personale che permetta poi ai soggetti della cura di portarne gli effetti anche nei luoghi della crisi che oggi non coincidono più solo con i soggetti stessi, ma con le intere comunità siano esse reali, virtuali, scolastiche, di quartiere e di legame sociale nella sua accezione più politica.
Il rilancio quindi, a partire dall’apertura, la messa in discussione, l’ascolto dell’Altro della nostra epoca.
La psicoanalisi è in crisi?
Nella sua etimologia crisi indica separare/scegliere, considerare più aspetti.
Attraverso il convegno, vi è stato un movimento per cercare di separare la “parte critica” di ciascuno usandola da un altro punto di vista valutando come scegliere qualcosa di più “adattabile”, senza snaturare la psicoterapia analiticamente orientata.
Un interessante intervento di Stoppa ha fatto eco nella splendida cornice della sala del Barberigo, abbracciata dal movimento artistico dei quadri di Ronga.
<<Abbiamo davanti una clinica di soggetti che non hanno manco parola vuota, bisogna costruire le condizioni della parola vuota…lavorerei proprio sulla narrazione perché questi ragazzi possano avere una narrazione loro, che non sia quella del Discorso Dominante, di un linguaggio che è psicotizzante, che parla ormai da tutte le parti simultaneamente perché riescano a trovare nel setting, quello spazio per costruire un loro rapporto con la parola >> (cit. sbobinata dalla registrazione del convegno)
Il richiamo a questo “in divenire” delle cose, anche della psicoterapia ad orientamento analitico, un divenire che trasforma ma non distrugge, ci ha fatto imbattere in questo sonetto scritto da Lacan nel 1929 per la rivista “Surréalisme”, qui riportato come suggestione e ulteriore angolazione.
Πάντα ῥεῖ. Hiatus irrational
Choses que coule en vous la sueur ou la sève,
Formes, que vous naissiez de la forge ou du
sang,
Votre torrent n’est pas plus dense que mon
rêve,
Et si je ne vous bats d’un désir incessant,
Je traverse votre eau, je tombe vers la grève
Où m’attire le poids de mon démon pensant;
Seul il heurte au sol dur sur quoi l’être s’élève,
Le mal aveugle et sourd, le dieu privé de sens
Mais, sitôt que tout verbe a péri dans ma
gorge,
Choses qui jaillissez du sang ou de la forge,
Nature -, je me perds au flux d’un élément:
Celui qui couve en moi, le même vous soulève,
Formes que coule en vous la sueur ou la sève,
C’est le feu qui me fait votre immortel amant.
***
Traduzione di Giacomo Conserva:
Cose, che scorra in voi il sudore o la linfa,
forme, che voi nasciate dalla forgia o dal
sangue,
il vostro torrente non è più denso del mio
sogno.
E se non vi batto di un desiderio incessante
attraverso la vostra acqua, giungo alla riva
dove mi attira il peso del mio démone
pensante;
solo urta il suolo duro da cui si eleva l’essere
il male cieco e sordo, il dio privo di pensiero.
Ma appena ogni parola è perita nella mia gola,
cose- che sgorghiate dal sangue o dalla forgia,
natura-, mi perdo nel flusso di un elemento:
Quello che cova in me, lo stesso vi solleva,
forme, che scorra in voi il sudore o la linfa,
è il fuoco che mi rende immortale vostro
amante.
Quello che cova in me, lo stesso vi solleva,
forme, che scorra in voi il sudore o la linfa,
è il fuoco che mi rende immortale vostro
amante.
di Maria Eugenia Cossutta
e Caterina Santaniello
Pubblicazione blog 21/06/2022