Intervista a Marina Severini, psicoanalista AME dell’EPFCL
1. Partendo dal titolo del suo seminario ‘Il saper fare nella cura’ ci può spiegare cosa si intende in senso analitico?

Il saper fare in psicoanalisi non coincide con la tecnica, cioè con un bagaglio di sapere che è già pronto per l’uso e lo si può utilizzare in modo standard come avviene in molte psicoterapie; un sapere che intende ottenere degli effetti o per via della suggestione o per via della persuasione, come quando si danno consigli, suggerimenti o indicazioni. In ognuno di questi casi lo psicoterapeuta esercita una padronanza sul paziente, come è più evidente nel caso dell’ipnosi, ma che è possibile ritrovare, in modo anche più sottile, ogni volta che il terapeuta occupa il posto di chi pensa di sapere quale sia il bene dell’altro. In altri termini il saper far non è pretendere che l’altro sia come lo vorremmo. Un punto questo, da cui è difficile separarsi, addirittura anche quando si è analiticamente formati. Per questo è importante aver effettuato un’analisi e dedicarsi ad una formazione che non finisce mai. Perciò Lacan ha pensato di fondare una Scuola e non un’associazione di psicoanalisti: la questione del saper fare non è solo una questione tecnica, ma va articolata all’etica della psicoanalisi.

 2. A cosa si fa rifermento in psicoanalisi quando si parla di ascolto?

Ne ‘La direzione della cura’ Lacan parla di ascolto di intendimento, che è qualcosa di diverso dallo ascolto di comprensione. La comprensione significa essere attaccati ai contenuti, al significato, al senso di ciò che si dice. L’ascolto di intendimento, invece, è un modo per non fermarsi ai contenuti coscienti, cioè a ciò che l’altro intende dire, ma è un ascolto che permette di aprire all’inconscio, cogliendo, ad esempio, come certi significanti si ripetano, come si articola la catena inconscia del soggetto.

Il comprendere coincide con l’empatia. Se comprendiamo troppo facilmente il soggetto che viene a consultarci, è perché troviamo in lui qualcosa che si ha già dentro di noi, qualcosa che sappiamo già. E’ come sapere a priori perché l’altro sta dicendo quella cosa, chiudendo, tra l’altro, il suo discorso, in quanto non poniamo più domande. E’ proprio in questo modo che non si ammette l’alterità dell’altro.

3. A questo proposito ci può spiegare in cosa consiste l’etica della psicoanalisi e come la formazione dell’analista debba essere orientata per fondarsi su questa?

L’etica della psicoanalisi ci rimanda alla posizione che si prende nei confronti di quello che Lacan chiama “il reale”. Nella pratica clinica incontriamo l’altro nella sua alterità. Poter dire l’alterità dell’altro, significa poter ammettere la differenza dell’altro, cioè che l’altro non è uguale a me, non reagisce come faccio io; in altre parole fa riferimento al non voler giudicare il suo modo di godimento. Lacan dice che il non rispetto del godimento dell’altro è una forma di razzismo, perché è come dire che il nostro godimento è migliore del suo.

A questo riguardo Lacan ha scritto ‘La direzione della cura’ proprio per segnare una differenza tra il dirigere la cura e il dirigere il paziente. Il terapeuta dirige la cura. Dirigere il paziente è, invece, il compito del padre spirituale o di chi si pone come educatore.

Per questo è importante che chi si pone nel posto dell’analista abbia fatto i conti con la questione della castrazione.

4. Perché Lacan ha fondato una Scuola e non un’Associazione di psicoanalisti?

L’idea di Lacan di fondare una Scuola è sorta dalla necessità di tenere sempre aperta la domanda su cosa sia l’analista.

Mentre i Forum, come il Forum Lacaniano in Italia, sono delle aggregazioni aperte che accolgono chi, a diverso titolo, è interessato alla psicoanalisi, la Scuola è il luogo cui si deve riferire chi intende formarsi, o si sta formando o si è formato come psicoanalista.

È stato Lacan a dirci chi è l’analista, per questo Colette Soler dice che la psicoanalisi è freudiana, ma l’analista è lacaniano. 

L’esperienza dell’analisi, per il fatto di permettere un incontro con la castrazione, ovvero questo stato che indica un punto limite invalicabile e che, come osserva Lacan, rappresenta la realtà della condizione umana, non può concludersi solo su una posizione di comfort, cioè di effetti terapeutici e di un superamento di certe inibizioni. 

Freud indicava nella capacità di amare e lavorare il segno di un ritrovato benessere dopo la cura, ma chi vuole fare l’analista deve aver sperimentato il confronto con la castrazione per evitare le pretese di aiuto e/o di padronanza nel lavoro con un altro analizzante.

Riprendendo il concetto freudiano dell’Hilflosigkeit, come condizione che il piccolo d’uomo sperimenta alla nascita, di totale pre maturazionee di dipendenza dalle cure altrui, Lacan parla di come questo smarrimento assoluto possa generare angoscia. Tale angoscia segnala, appunto, un pericolo, ed è posta lì come baluardo utile a impedire di finire in quello stato di smarrimento e impotenza.

5. Quali possono essere le reazioni affettive a questo incontro con uno stato di derelizione?

La rabbia, la depressione, la rassegnazione, oppure, dice Lacan, l’entusiasmo. Non si diventa analista per effetto di un’identificazione o perché si è seguito un percorso standard per cui servono un certo numero di ore di analisi personale, poi l’analisi didattica e infine c’è qualcuno che certifica che da allora si è analista, ma l’essere analista è legato a come l’analizzante ha toccato nella sua analisi l’esperienza della castrazione simbolica e a come ne è uscito. Se c’è l’entusiasmo, cioè se ne esce affettivamente in un modo che rianima, ravviva, rimette in moto il desiderio, anche di accompagnare gli altri a fare questo passaggio, c’è dell’analista. 

Lacan ha fondato la sua Scuola pensandola come un antidoto alla routine da cui gli analisti possono lasciarsi prendere, dimenticando così l’essenziale della loro funzione. La Scuola è dunque, per noi che ne siamo parte, il luogo che ci aiuta a tenere aperto l’interrogativo sulla psicoanalisi e vivo il nostro desiderio.

A cura di Loredana Bove e Roberta Tancredi