Intervento sul testo: Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, Sigmund Freud, (1905), in
Opere, Boringhieri, vol.5.
Silvana Perich
I.C.Le.S. Venezia
Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio è un testo di Freud pubblicato nel 1905. L’interesse di Freud per questo tema risale agli anni della stesura dell’ Interpretazione dei sogni: in seguito ricercherà se la formazione del motto (il “lavoro dell’attività costruttrice del motto”) segua un percorso simile a quello della formazione del sogno (“il lavoro onirico”).
Questo testo si inserisce nel tipo di indagini iniziato con Progetto di una psicologia (1895) e col capitolo VII dell’ Interpretazione dei sogni (1899), in cui si tratta dei dinamismi dell’inconscio, dei rapporti fra preconscio e inconscio e del concetto di risparmio energetico, oltreché della dicotomia delle tendenze alla costruzione del motto (tendenze sessuali ed ostili) che precorre la dottrina dualistica delle pulsioni.
Il testo si suddivide in una parte analitica (in cui si tratta delle tecniche e degli intenti del motto), una parte sintetica (in cui si tratta la psicogenesi del motto ed il suo significato sociale) ed in una parte teorica (in cui espressamente Freud confronta il lavoro onirico con il lavoro del motto e fa una disamina delle specie del comico e dell’umoristico distinte dal motto di spirito).
Come in altri testi, Freud all’inizio passa in rassegna gli autori che si sono occupati del tema che intende trattare; in particolare, Theodor Lipps che in Komik und Humor (1898), testo a cui Freud attribuisce il merito di avergli dato l’ardire e la possibilità di accingersi a questo tentativo, scrive che il motto è “ogni evocazione cosciente e abile della comicità, sia della comicità immediatamente visibile che di quella che nasce dalla situazione”.
Freud propone un motto del poeta Heinrich Heine tratto dal suo libro Impressioni di viaggio, nella parte dal titolo I bagni di Lucca: qui descrive la figura del ricevitore del lotto, callista e perito Hirsch-Hyacinth di Amburgo che si vanta con il poeta delle sue relazioni con il ricco barone Rothschild esprimendosi così:
“ Come è vero Dio, signor dottore, stavo seduto accanto a Salomon Rothschild e lui mi ha trattato proprio come un suo pari, con modi del tutto familionari” (…cioè con modi molto familiari, per quanto è possibile ai milionari!)
Ora, l’arguzia espressa da questo motto non sta nel pensiero stesso, che suscita piuttosto amarezza, ma nella sua forma condensata: se sottopongo questa parola ad un processo che si chiama riduzione, ottengo la frase nella sua forma originaria, perdendo però il carattere di motto, l’arguzia che la frase esprimeva. Sembra quindi di dover cercare nella forma, nella sua dizione letterale, e non nel pensiero, l’arguzia del motto: si può quindi parlare di una tecnica del motto, ovvero di un insieme di tecniche che producono questo effetto.
Freud fornisce una serie di esempi, classificandoli, tratti dalla letteratura, dall’ attualità e dalla cultura ebraica.
Il motto appena riportato è un esempio di CONDENSAZIONE con formazione sostitutiva: in questo caso la formazione sostitutiva può essere una parola mista o modificata. Dice Freud ad un certo punto:”Le parole sono un materiale plastico con il quale si può fare di tutto…Vi sono parole che se in certe applicazioni hanno perduto il loro pieno significato originario lo ritrovano però in un altro contesto…In tedesco vi sono anche parole che possono essere prese, con senso diverso, in accezione “piena” e “vuota”, e anzi in più di un senso.”
L’impiego molteplice di una stessa parola è un’altra tecnica riconosciuta da Freud. Ad esempio il doppio senso tra il significato letterale e metaforico di una parola, definita una “ricca fonte”, oppure il doppio senso vero e proprio, o gioco di parole, in cui “il motto non contiene altro che una parola suscettibile di varie interpretazioni, la quale consente all’ascoltatore di trovare il passaggio da un pensiero ad un altro”.
Ci sono motti che non dipendono dalle parole (per cui per cancellare il motto si sostituiscono le parole), ma dalla successione di pensieri (per cui per cancellare il motto occorre modificare il corso dei pensieri): Freud propone di chiamare questa tecnica SPOSTAMENTO perché, dice,”l’elemento essenziale è dato dalla diversione del percorso mentale, dallo spostamento dell’accento psichico su un tema diverso da quello iniziale”.
I motti di controsenso mettono invece in luce, appunto, un controsenso, una stupidità, un’assurdità, ma: “Assurdità come questa celano un senso e questo senso nell’assurdo fa dell’assurdo un motto”. Anche il ragionamento erroneo può dare origine ad un motto: si tratta qui di ragionamenti sofistici o automatici, in cui la logicità apparente nasconde un ragionamento erroneo.
Nella unificazione, che è analoga alla condensazione con le parole, si trovano rapporti reciproci di rappresentazioni, definizioni ottenute da una rappresentazione all’altra…
La figurazione indiretta è la figurazione di ciò che non può essere espresso direttamente ma per mezzo di diversi espedienti: il contrario o il rincaro; il simile o l’affine; la similitudine.
Per definire il carattere del motto di spirito, Freud distingue motti “innocenti” da motti “tendenziosi”. Dice Freud: “Io dubito che siamo in grado d’intraprendere qualcosa là dove non entra in giuoco un’intenzione”, e l’intenzione, nel caso del motto, è proprio quella di procurare piacere. Questo potere del motto di suscitare piacere può essere attribuito alla forma, cioè al “risparmio nell’espressione” realizzato dalle tecniche, ma si tratta di una forma di risparmio particolare, quella particolarità da cui dipende il carattere del motto.
Ora, mentre il motto innocente o imparziale provocano un piacere sì, ma moderato, fine a sé stesso, i motti tendenziosi provocano reazioni di piacere irrefrenabile, come se attingessero a fonti diverse. In questo secondo caso il motto è subordinato a due tendenze: la tendenza ostile o la tendenza oscena. Il soddisfacimento della pulsione, sessuale o ostile, resta quasi sospeso a motivo delle regole dell’educazione e della morale, ma questo ostacolo viene come aggirato dal motto di spirito, che in questo modo genera piacere da una fonte che era stata resa inaccessibile dalla rimozione. L’ostacolo può essere esteriore, o interiore, a seconda che l’inibizione si stia producendo o sia già presente. Il profitto di piacere, che deriva dal soddisfacimento della tendenza che diversamente resterebbe insoddisfatta perché repressa, corrisponde al risparmio di dispendio psichico che sarebbe servito alla rimozione. Quindi qui si sottolinea, più che un risparmio di parole o di espressioni, un risparmio o alleviamento dell’energia psichica richiesta dalla inibizione o dalla repressione.
La formazione del motto procede per gradi, passando per il gioco e lo scherzo: si arriva alla sua peculiarità quando l’affermazione contenuta nello scherzo ha un senso, ed un senso che è rilevante ed efficace.
Ma allora, in che modo si potrà realizzare l’intenzione? Ridiamo sia per la forma che per il contenuto: il pensiero si traveste con la tecnica ma in questo modo viene alla ribalta, disorienta le istanze critiche della ragione e viene poi accettato perché ha provocato piacere.
Compare sempre un terzo, l’ascoltatore, che prova piacere perché viene rimossa dal motto la sua stessa inibizione; nell’autore, inoltre, c’è l’effetto di un rafforzamento dell’affetto (ostilità od oscenità) per via di un piacere preliminare che il motto produce.
Perché si conia un motto di spirito? Quali sono le determinanti soggettive, cioè la “commozione soggettiva” che lo produce? Spesso il motto circola per un certo tempo: ci sono persone cosiddette “spiritose”, che cioè si distinguono per questa particolare facoltà mentale, ma conoscere l’autore significa raramente capire da quali pensieri (i pensieri del motto, come già i pensieri del sogno) derivi il motto (il poeta Heine mette in bocca al suo personaggio un motto che riguarda lui stesso, come si comprende conoscendo la sua biografia).
L’esperienza dice che la produzione di un motto è un fatto sociale, perché coniare un motto significa anche avere l’urgenza di comunicarlo; anzi, il processo psichico che porta alla formazione di un motto sembra concluso soltanto al momento della sua comunicazione. Di certo, però, per la riuscita del motto, l’ascoltatore deve trovarsi in un certo accordo psichico con l’autore.
Inoltre, bisogna impedire che l’investimento psichico per l’inibizione, divenuto superfluo, trovi un altro impiego (spostandosi da una via ad un’altra) e possa invece liberarsi nel riso. A questo scopo, l’ascoltatore deve quasi essere “distratto” dalla tecnica: si avvince la sua attenzione per cui si forma uno stato di distribuzione dell’energia detto “ingorgo psichico”. Distratto dal comprendere, còlto di sorpresa, l’ascoltatore ride liberando l’energia psichica.
Questo aspetto dell’attenzione nell’ascoltatore è molto importante per la psicoanalisi: si tratta infatti di una concentrazione di interesse, una forma di energia implicata nel processo di ascolto:“Il riso è il risultato di un processo automatico, che è stato reso possibile soltanto tenendo lontana la nostra attenzione cosciente”. Questa nota sull’attenzione è importante anche per l’autore del motto: si usa dire che “si conia un motto”, e questa espressione esprime il carattere di un’ “idea” involontaria, che affiora all’improvviso.