La Scuola come rifugio e come base operativa
di Patrizia Gilli, Roma15 maggio 2016
Nell’Atto di fondazione del febbraio 1971 (nota aggiunta) Lacan dice :
“….il termine Scuola è da prendere nel senso in cui nell’antichità indicava certi luoghi di rifugio, o meglio basi operative contro quello che già allora poteva essere chiamato disagio della civiltà. Per attenerci al disagio della psicoanalisi, la Scuola intende offrire il suo campo non solo a un lavoro di critica, bensì anche all’inaugurazione del fondamento dell’esperienza e dello stile di vita in cui questa sfocia”.
La parola greca “skolè” – alla quale Lacan si ispira – rinvia ad un significato analogo a quello di “otium” per gli antichi romani, ossia (cito il dizionario Treccani): “libero e piacevole uso delle proprie forze, soprattutto spirituali, indipendentemente da ogni bisogno o scopo pratico”
Alle parole di Lacan, succitate, fa eco un passaggio di Colette Soler, che troviamo in “Lacan, l’inconscio reinventato” pag.201
“ almeno idealmente, la questione con il progetto di Scuola non è di trovare un riparo, ma un luogo di messa in questione e dell’esperienza dell’inconscio e di quello che gli analisti ne fanno. E’ escluso che questo sia un lavoro solitario, perché c’è bisogno di molteplici presenze per pensare la psicoanalisi, perfino per degli innovatori come Freud e Lacan. C’è dunque un fine di trasmissione epistemica con la Scuola…che io credo tuttavia secondario… Dietro quel che si elabora di dottrina, un dire si afferma e un desiderio si trasmette. Il fatto è che nella psicoanalisi, a differenza della scienza, occorre fare i conti con l’orrore di sapere in gioco, che è sempre, per ciascuno, sapere duramente acquisito dell’inconscio che gli è proprio, ben reale, e delle sue conseguenze. Dopo Freud, la conseguenza maggiore ha un nome: castrazione. Nome tanto suggestivo quanto ingannevole, con le sue connotazioni di mutilazione, ma che dice quantomeno male e convocando un troppo di immaginario, che per l’analizzante questo sapere non può essere avvicinato se non al prezzo di un superamento dell’angoscia”
Dunque, se c’è, tra le funzioni di una Scuola, quella di un riparo, questo può realizzarsi solo nella misura in cui essa diventi anche luogo di messa in questione dell’esperienza dell’inconscio e del suo uso. Immaginariamente, in una logica nevrotica, l’atto del rifugiarsi/ripararsi potrebbe evocare una specie di stasi e di nascondimento, ma a ciascuno invece la propria analisi mostra – se è stata efficace – proprio il contrario: è nello spendere e nell’arrischiarsi, non nel trattenere con sé il proprio sapere, nel “coccolarselo” che il soggetto si disangoscia, potendosi autorizzare alla separazione dall’Altro.
Il sapere della castrazione può essere avvicinato, dice Soler, al prezzo di un superamento dell’angoscia: a quel prezzo, si può aggiungere, anche ceduto, condiviso. Queste operazioni possono declinarsi in varie forme – nella Scuola – e, nel modo più radicale penso si realizzino nell’esperienza della passe, poiché essa fa appello alla Scuola – come comunità e collettività di lavoro – alla disponibilità della Scuola a farsi attraversare dalla corrente della passe.
I vari passi che testimoniano di un decidersi per la psicoanalisi – per l’esperienza che ne ho fatto rispetto agli ingressi nel Forum e nella Scuola – mettono alla prova e in esercizio, continuamente, la questione, per chi parla, di dire bene, e quella, per chi ascolta, di bene ascoltare che non è – ovviamente – stare a sentire. Che ci sia un buon ascolto, una “riuscita” di questo atto, non è affatto scontato, è anzi ogni volta un’incognita: incognita per l’analista in funzione, per il supervisore nei controlli, per i membri della Scuola che accolgono i candidati al forum e alla Scuola, per i passeurs e poi per il cartello della passe.
Bene ascoltare non è certamente registrare o ricordare tutto, cosa impossibile per un essere umano, solo uno strumento tecnico potrebbe garantire la fedeltà al messaggio e la sua conservazione. Non siamo perciò (uno per uno) garanti dell’ascoltato, così come la Scuola non è un luogo dove preservare il sapere. Non ne siamo garanti, ne siamo invece responsabili, in una dimensione etica. Solo in après-coup si potrà sapere se sia in atto e in circolazione un buon ascolto, nella misura in cui ne discendano effetti di trasmissione e di spinta verso quel legame sociale che è il transfert di lavoro. Lacan auspicava la diffusione e il contagio di un discorso piuttosto che il successo di un insegnamento. Lo cito: “Non c’è niente da sperare, tutto è perduto…se il mio discorso viene preso come un insegnamento…è nei miei principi non sperare…che (esso) venga preso come un insegnamento” (Altri Scritti)
Lacan parla, invece, di insegnamento della psicoanalisi. Dice“l’insegnamento della psicoanalisi non può trasmettersi da un soggetto all’altro che per le vie di un transfert di lavoro. I seminari, compreso il nostro…non fonderanno niente se non rinvieranno a questo transfert” (Atto di fondazione – Altri Scritti pag.236)
Colgo il plurale che qui usa Lacan: le vie. Tante vie, tanti transfert: bisogna notare la priorità data da Lacan a questo strumento e mezzo – il transfert di lavoro – per fondare nella pratica e radicare in essa la possibilità, per la teoria psicoanalitica, di continuare a “far premio sul mercato”. La sfida è grande, forse lo è sempre stata, forse oggi di più perché, nel frastuono del mondo, la psicoanalisi è – credo – solo un sussurro….tuttavia l’esistenza di una Scuola resta una condizione fondamentale e un occasione felice per praticare, nell’attualità, la psicoanalisi. Praticare (cfr greco practicos = attivo, pratico) pur comprendendo l’esercizio di una professione non vi si riduce, piuttosto lo eccede: esercitiamo la psicoanalisi, in senso clinico, quando e se le condizioni della domanda rivoltaci lo rendano possibile, possiamo praticare la psicoanalisi anche in estensione, frequentando e condividendo luoghi di studio, di confronto, di avanzamento nella ricerca epistemica.
Il fare multiforme che la Scuola offre alla pratica – l’analisi, i cartelli, i seminari, gli insegnamenti, la scrittura, le traduzioni …- può essere, credo, un terreno di coltura dei transfert, il rovescio di quel terreno di coltura di morte che è il Super-io, istigatore di solitudine e piccoli narcisismi. Credo che, rispetto a questo rischio, possiamo trovare nella Scuola, come base operativa, un reale, non immaginario, rifugio.
Ultima osservazione: Lacan parlava (1971) di “disagio della psicoanalisi” e ha proposto la Scuola come operatore di trattamento di esso; insomma, anche la psicoanalisi, per vivere, deve continuare a guarire da sé stessa, compito – così interpreto le parole di Lacan – sempre sul punto di fallire.
Cito “la funzione sociale…della malattia mentale è l’ironia (che nello schizofrenico) è capace di giungere fino alla radice di ogni relazione sociale. Quando tuttavia la malattia è costituita dalla nevrosi, l’ironia fallisce nella sua funzione e averla..riconosciuta è la grande trovata di Freud, che così ve la ripristina nel suo pieno diritto, cosa che equivale alla guarigione della nevrosi. Ora la psicoanalisi è succeduta alla nevrosi : ha la medesima funzione sociale, ma anch’essa fallisce. Io cerco di ristabilire nei suoi diritti l’ironia, di modo che, forse, guariremo anche dalla psicoanalisi di oggigiorno” (Altri Scritti – “Risposte ad alcuni studenti di filosofia” – febbraio 1966, pag.209)