L’isteria, individuata già dal tempo degli antichi Egizi, dopo essere stata diluita nelle classificazioni dei diversi DSM, è stata oggetto ad una sorta di diniego dalla nosografia attuale, anche se il significante, tuttora presente nella lingua comune, ne testimonia l’attualità, non solo nel lessico psicoanalitico, ma anche nell’immaginario popolare. Legata sin dai tempi di Ippocrate e di Galeno al corpo della donna, ci ha consegnato nei secoli, l’immagine di una donna che con i suoi sintomi, soprattutto somatici, mostrava una dissidenza al ruolo affidatole dall’Altro sociale. L’isterica dell’antichità, afflitta dagli effetti dei vapori sulfurei di un utero che si ribellava al mancato concepimento, ha ceduto progressivamente il posto alla strega, che con i suoi gesti scomposti, rimandava ad un aspetto conturbante per il cristianesimo della sessualità, dissociata dalla riproduzione. L’esorcista, quindi, sostituì il medico, per cedergli di nuovo il posto nel secolo dei Lumi, dove, tuttavia, dalla malattia era sottratto l’elemento soggettivo e gli isterici diventavano “puro corpo”. Un corpo esibito dall’illustre Charcot, durante il romanticismo ottocentesco, nell’aula del Salpêtrière, non solo allo sguardo dei medici, ma anche degli intellettuali del tempo, come Bergson, o Maupassant e, non a caso, di una grande attrice come Sara Bernhardt[1]. Fra gli altri anche Sigmund Freud, che pur dichiarando gratitudine al celebre Maestro, rivendicò il diritto, nella Prefazione alla traduzione delle “Lezioni del martedì della Salpêtrière” (1892), di esporre le proprie idee sull’isteria, in primo luogo sull’etiologia sessuale,[2]“ Per Freud le grida improvvise della paziente: “Mamma, ho paura!”, “Ah, mamma”, che Charcot aveva liquidato, parafrasando Shakespeare, con “un molto rumore per nulla”, rivelano un senso nascosto che riprende in considerazione il soggetto di quel corpo. È proprio riflettendo sull’isteria che Freud inventa la psicoanalisi: in “Studi sull’isteria” del 1895, scritto in collaborazione con Breuer, con una sorta di work in progress, attraverso i casi clinici di cinque pazienti[3], che offrivano la più varia sintomatologia somatica e psicologica, Freud elabora i capisaldi della sua teoria: a cominciare dal nome di talking cure e chimney-sweeping, inventato da Anna O: cura delle parole, e pulizia del camino, una cura paradossale per la guarigione di un corpo affetto da paralisi, parestesie, allucinazioni, disturbi del linguaggio, dolore e sintomi simili a quelli che oggi riscontriamo nei cosiddetti attacchi di panico (OSF, vol. I, p. 265). Il disvelamento progressivo delle verità nascoste delle cinque pazienti portò Freud ad usare, per la prima volta, il termine di inconscio, a elaborare il concetto di transfert, di conflitto psichico, di rimozione e ad attribuire l’etiologia dell’isteria a un trauma. Il vero e proprio manifesto dell’isteria, tuttavia, arriverà nel 1901 col famoso caso di Dora, anche se Freud continuerà ad occuparsene almeno fino al 1926, mantenendone inalterata, nelle linee generali, la concezione. Per Freud il meccanismo che produce l’isteria corrisponde sia a un atto di viltà morale, sia a un atto protettivo dell’Io, che da un lato risulta liberato dai ricordi insopportabili, dall’altro paga lo scotto della sua vigliaccheria. Il meccanismo di difesa dell’Io, infatti, riesce a rimuovere le rappresentazioni conflittuali, ma non la quota di affetto ad esse connesse e quando si presenta una situazione che riporta alla memoria quella del primo trauma che ha scatenato la rimozione, si producono i sintomi di natura somatica e simbolica. Freud individua nel meccanismo della conversione la trasformazione della eccitazione psichica in sintomi somatici permanenti: è la mente che dirige il corpo e non viceversa come riteneva la neurologia del tempo. Da qui la convinzione che attraverso il disvelamento del desiderio sessuale rimosso, tradotto metaforicamente nei sintomi, si potesse arrivare gradualmente alla guarigione.

Il corpo dell’isterico, anarchico rispetto all’anatomia per la localizzazione e la capricciosità dei sintomi, ha suggerito a Freud un concetto essenziale: una sorta di differenziazione tra il corpo biologico e il corpo pulsionale. Non si tratta di riprendere il dualismo filosofico soma- psiche o quello corpo-anima della religione, ma di evidenziare la differenza tra il corpo naturale, istintuale, biologico della medicina e il corpo in cui sono ritagliate le zone erogene, pulsionale, libidico, costruito – dirà Lacan – attorno al vuoto centrale della Cosa. Lacan sposerà pienamente questa concezione della “duplicità” del corpo esemplificata mirabilmente dalle tombe degli antichi, dove accanto alle ossa, venivano conservati gli strumenti del godimento come collane, boccali e armi (da Radiofonia, p. 406) e riterrà che nessun corpo, come quello isterico, manifesta questa doppia struttura, dove qualsiasi organo o parte del corpo, può obbedire a una finalità libidica. Un occhio, ad esempio, non è solo l’organo della vista, ma obbedisce alla finalità libidica del guardare. In Radiofonia Lacan sintetizzerà questo concetto, scrivendo che il corpo del linguaggio “dà luogo al secondo in quanto vi si incorpora.” (Radiofonia, in Altri scritti, p. 405).

A questo punto, è opportuno ricordare, che mentre la tradizione lega l’isteria alla donna e al suo corpo, per la Psicoanalisi, che ne fa il nucleo della nevrosi, si declina sia al femminile che al maschile, tanto da far affermare, all’ultimo Lacan, con un giudizio quanto mai sorprendente: “Quanto a isteria l’uomo ha superiorità sulla donna”. (J. Lacan, “Joyce le symptộme”, in C. Soler, “Quel che Lacan diceva delle donne”, p. 41) Il francese favorisce la doppia declinazione con il termine ambigenere hystérique, che vale sia per il maschile sia per il femminile, istrerico/a mentre con l’italiano che prevede due desinenze, alcune volte risulta più agevole usare il femminile, anche se non ci sono differenze di genere, ma di posizione

Lacan, lettore di Freud, in prima istanza reputa il sintomo isterico una metafora: attraverso il corpo, l’isterica parla, dice la verità del suo desiderio inconscio: la tosse di Dora, sostituisce le sue fantasie orali, il dolore alle gambe della signorina Elisabeth Von R. sostituisce il desiderio per il cognato. Tutta l’“operazione isterica” consiste nel far scivolare un sintomo dentro l’involucro del corpo, come se l’anatomia non esistesse, ma fosse reinventata per raggiungere i suoi fini. Il meccanismo della conversione, tuttavia, per Lacan, non sarà l’unica risposta del corpo dell’isterico tant’è che, nel corso del XVII Sem. (1969-70) proporrà di sostituire il termine freudiano di “compiacenza somatica” con quello di “rifiuto del corpo”, una sorta di “sciopero” che effettua l’isterica per sottrarsi al dominio dell’Altro, di cui teme di diventare il puro oggetto sessuale. Se il corpo teatralizzato della conversione delle pazienti di Freud, porta le stigmate del desiderio inconscio del soggetto, il corpo in sciopero, è quello algido, frigido che cerca gode nel sottrarsi, per l’orrore della propria della castrazione al godimento dell’Altro. Questo rifiuto del proprio corpo, è talvolta il corpo dell’anoressica, in cui il “niente” di cui si nutre, viene elevato alla dignità di un oggetto separatore e una modalità per suscitare nell’Altro la propria mancanza. Altre volte questo sciopero, si declina su un versante masochistico, che fa dell’isterica la partner ideale non solo dell’ossessivo, ma talvolta anche del perverso a cui si adegua solo per essere desiderata. Farsi desiderare, infatti, è il godimento fondamentale dell’isterico, desiderare per essere, come Antigone. Un godimento che rivela a pieno la congiunzione tra un corpo che si gode con i suoi sintomi,- il dolore somatico, ma anche il rifiuto, la frigidità- e il godimento della parola, la lalangue singolare con cui l’isterica seduce sé stessa e l’Altro. Se, infatti, per tutti il desiderio è desiderio dell’Altro, ossia desiderio di ciò che desidera l’Altro e desiderio di essere desiderati, per l’isterico, il desiderio implica il suo stesso essere e suscita un godimento, in cui l’Altro è una comparsa funzionale. È l’interrompersi improvviso della noia di Madame Bovary quando ripete a sé stessa: “Ho un amante! Ho un amante!” O l’interrompersi del senso di vuoto che ad esempio, prova Cinzia, una mia analizzante, quando nel suo ufficio o in un locale, capta lo sguardo desiderante di un uomo. L’isterica si interroga, incessantemente sulle modalità di questo desiderio e sulla possibilità di suscitarlo, sull’implicazione cioè della femminilità nel gioco del desiderio e non riuscendo a trovare risposta in sé stessa, si rivolge a un’altra donna. Secondo Lacan la domanda fondamentale, infatti, che affligge l’isterica è:“Che cosa è una donna? Sono uomo o sono donna?” Domande emerse dalla riflessione sul caso freudiano di Dora, presente più volte nell’opera di Lacan, dal 1951 nel Congresso di Lingua Romanza, fino al 1969/70, anno del XVII Seminario. Quasi con un coup de theatre Lacan rivela che l’oggetto dell’interesse di Dora non è il famigerato signor K, come credeva Freud, ma sua moglie, la signora K, così femminile da suscitare il desiderio persino nel padre di Dora, malato e impotente. Il ruolo della signora K. è così importante nella costruzione dell’identità femminile della ragazza, che quando il signor K, nel tentativo di rafforzare la sua seduzione le dirà che “la moglie non è più niente per lui”, Dora, lo allontanerà, infastidita. Per arrivare alla soluzione dell’enigma della femminilità, infatti, ella, come tutte le isteriche, deve identificarsi in un uomo – in questo caso appunto il signor K-  in quanto l’uomo è il vero esperto di ciò che in una donna possa suscitare il desiderio. Dice Lacan che l’isterica ama “per procura” ossia delega, in maniera illusoria, all’altra donna il sapere sulla femminilità e usa il proprio partner per arrivare a questo sapere, costituendo una sorta di “intrigo”. Di qui il vivo interesse che la donna nutre per le altre donne e per la loro immagine, della ricorrenza di un’amica del cuore o di una donna idealizzata (a volte detestata) nelle storie cliniche o della popolarità che attualmente hanno raggiunto le cosiddette influencer che orientano, con estrema sicurezza, il desiderio delle adolescenti, offrendo loro un vero e proprio supporto speculare. E poiché la sua stessa femminilità le è estranea, per l’isterica, è più facile identificarla tout court nel corpo, aderendo con maggior rigore alla mascherata femminile di cui parla Lacan. Infatti in una società, in cui è predominante l’interesse all’immagine, cercare di esaurire nel corpo la questine femminile diventa una facile scorciatoia, senza considerare che è proprio il corpo, la sede dell’inesistenza del significante de “La donna”.

Ma da dove deriva questa necessità per l’isterica di trovare un riferimento ideale? Secondo Lacan da un difetto della specularizzazione narcisistica nella fase dello specchio: qualcosa non ha funzionato e lo sguardo dell’Altro ha rimandato un’immagine del corpo incompleta, dove è stata esclusa la dimensione sessuale. Non avendo ricevuto il riconoscimento adeguato del suo essere, l’isterica avrà quindi la necessità di rivolgersi all’ “al di là dello specchio”, cioè a un’altra donna che le possa “dare corpo, non avendo saputo prender corpo aldiqua” […] (J. Lacan, Scritti, p. 445)      Un altro personaggio freudiano, protagonista questa volta, solo di un breve sogno, offre a Lacan la possibilità di riflettere sulla caratteristica essenziale del desiderio isterico: il desiderio, per mantenersi tale, deve rimanere insoddisfatto, non si deve saturare con l’appagamento. Si tratta del sogno di quella che Lacan chiama “la Bella Macellaia”[4], dove uno degli elementi del sogno è che la bella donna, desidera del caviale, ma non vuole che il marito gliene offra, identificandosi in un’amica che vuole del salmone, ma non ne mangia. Per l’isterico, infatti, non si tratta di negare o distruggere il desiderio, come accade per l’ossessivo, piuttosto di mancarlo per non esaurirlo mai, perché “ non è di un oggetto che si tratta- il desiderio è desiderio di quella mancanza, che nell’Altro, indica un altro desiderio”. (Sem. V, p. 338) L’attenzione, poi, che l’aitante marito, il macellaio, che di solito ama le donne formose, riserva all’amica secca e magra, contribuisce a dimostrare la dissociazione tra la domanda e il desiderio. Non sono le parole a manifestare il desiderio, infatti, perciò l’implicita richiesta è di non esaudire quello che si domanda, perché non è di quello che si tratta. Nel sogno la Macellaia percorre la strada del desiderio attraverso tre identificazioni: prima con l’oggetto del desiderio (l’amica magra), poi col soggetto desiderante (il marito) infine con il significante stesso del desiderio (il fallo fosse anche un po’ magro). Mantenere attivo il desiderio per l’isterico può significare mettere in atto una vera e propria manovra di sottrazione: l’isterica freudiana che con una mano si sbottona e con l’altra si copre è il paradigma di chi dice di no anche quando vorrebbe dire di sì perché dicendo di sì teme di perdere la propria soggettività, rischia cioè di diventare un oggetto passivo della domanda dell’Altro. È il movimento di seduzione-sottrazione a cui Lacan dà il nome di dérobade che Colette Soler vede come il sintomo fondamentale dell’Isterica e che “realizza un godimento incestuoso grazie a un copione incompleto”. Nel XVII Sem. Lacan dice che si tratta dell’ “ assunzione da parte del soggetto, femminile o meno, del godimento di essere privato ” (Sem. XVII, p. 119)

“Trarre godimento nel sentirsi desiderati, potrebbe far pensare che faciliti i rapporti sentimentali, al contrario, invece, li complica, rende la cosa “molto più ostica”.  L’isterico si affanna, infatti, nel tentativo disperante di sconfessare la propria castrazione di cui ha orrore (Sem XVIII, p. 165) nella ricerca di un Altro assoluto, esente dalla mancanza. Rincorre, così l’idea del principe azzurro, della donna o dell’uomo ideale, che spesso è rappresentato da un padre idealizzato, che anche nelle situazioni conflittuali conferma la sua superiorità rispetto alla castrazione materna.* Passando di partner in partner, l’isterico dimostra l’aspetto metonimico del desiderio, desiderio cioè inarrestabile nella sua erranza. L’isterica, nelle relazioni, può dare, almeno in un primo momento, tutta sé stessa, diventando la serva del padrone di turno, che crede le possa dimostrare l’esistenza del rapporto sessuale, dell’amore assoluto e completo. Lacan dice che per l’isterica non c’è ancora rapporto sessuale, mettendo in luce con “quest’ancora” la fede nell’esistenza di qualcuno che dimostri che da due si possa arrivare ad un Uno. L’oblatività e il vassallaggio dimostrati, tuttavia, sono solo apparenti, una strategia per diventare indispensabili e insostituibili al partner, l’oggetto agalmatico di cui non si possa fare più a meno, in altre parole, si vuole un padrone, ma “un padrone su cui regnare”. “L’isterico è il soggetto diviso, in altri termini, l’inconscio in esercizio, che mette il padrone con le spalle al muro sfidandolo a produrre un sapere. “ (J. L “Radiofonia,” in “Altri Scritti”, p. 433)

Questa dedizione dell’isterica all’amore, la seduzione che esercita con il corpo e con le parole, e la stessa tradizione letteraria potrebbero portare a confondere l’isterica con la donna. Lacan lo nega decisamente. La donna, come l’isterica, desidera farsi desiderare e provocare la mancanza dell’Altro, ma mentre la donna riesce a soddisfare il proprio desiderio congiungendolo al godimento, senza credere, tuttavia, all’esistenza del rapporto sessuale, per l’isterica ciò risulta impossibile, aderendo a quel dualismo, che Freud aveva attribuito solo agli uomini, tra il desiderio sessuale e amore. Se infatti, il farsi desiderare è funzionale all’essere, farsi godere può significare, diventare un puro oggetto di piacere sessuale. Così, mentre la donna acconsente a essere “il sintomo di un altro corpo” cioè presta il suo corpo al godimento di un altro corpo, l’isterica non ce la fa. Per amare e godere, infatti, la donna deve accettare la castrazione, partendo dal presupposto che non avere il fallo le consente di “essere il fallo” per il partner. L’isterica, viceversa, che vuole avere il fallo e pone la castrazione solo dal lato dell’Altro, non può esserlo. Di conseguenza è relegata al godimento fallico, nella parte maschile, a sinistra, delle formule della sessuazione, senza poter accedere a quel godimento Altro, eccentrico alla dimensione del fallo e del corpo, appannaggio della donna. Mentre l’isterica si consuma nella ricerca dell’Uno, che faccia eccezione alla legge della castrazione, la donna si rende conto dell’illusorietà di tale ricerca e può anche vivere in modo stabile le sue storie.

In questa continua rincorsa del desiderio altrui, spesso accade che l’isterico perda di vista il proprio desiderio, e questo oltre al lamento sulle ingiustizie subite, tipico di tutti i nevrotici, può aprire il varco alla dimensione positiva della riflessione su di sé. “Chi sono veramente? Cosa voglio nella mia vita?” Si apre, cioè, quella dimensione del perché, sull’implicazionre del proprio sintomo, che Lacan ha chiamato “isterizzazione” e ha ritenuto propedeutica all’entrata vera e propria nell’analisi. Questa ricerca della verità ha portato Lacan, nel Seminario XVII a inserire i fra quattro discorsi, che delineano le diverse forme di legame sociale, quello isterico che, in un certo senso, si oppone sia al discorso del padrone sia a quello dell’universitario, non accettando né il comando del maître né il sapere anonimo dell’universitario che vogliono imporre una sorta di globalizzazione identitaria. Il discorso isterico, infatti, punta alla verità, e si rivolge a un supposto sapere per ottenerla, ma punta alla sua verità individuale cioè a quella che sveli il proprio essere. Paradossalmente, tuttavia, il supposto sapere  che viene interpellato, è un “padrone” che scricchiola, a priori, sul suo trono, e l’isterica gode a metterlo in scacco, per diventare il suo punto d’eccezione. Fulvio Marone ha riportato, in un suo scritto, la soddisfazione con cui una sua analizzante gli ripeteva:“Io sarò il suo grande fallimento!” Nel discorso isterico ritroviamo il motivo per cui l’uomo, per Lacan, in fatto di isteria sarebbe superiore alla donna, in quanto la sua ricerca del sapere non è limitata dal godimento. Socrate, che ne rappresenta il prototipo, vuole coinvolgere Alcibiade nel sapere filosofico, “ma non cerca di spillargli né l’effetto d’amore, né l’effetto di godimento.” (C. Soler, “Quel che Lacan diceva delle donne, p. 55)

La ricerca dinamica della verità rende solidali il discorso isterico e quello della Scienza, con la differenza che la scienza, come ho già accennato, punta a una verità universale, impersonale, l’isterica invece alla scoperta della sua verità, quella del sesso e della propria esistenza. Il discorso isterico, infatti, non è il discorso dell’acquiescenza, della compiacenza, ma della dissidenza, in cui ciò che conta è la difesa della propria singolarità.

Seguendo la prospettiva lacaniana, quindi, l’isteria è quanto mai attuale, si tratta solo di cogliere, una volta che ha perso la teatralità tradizionale, come si declini in nuove espressioni, che vanno dalla continua insoddisfazione e l’erranza sentimentale, al rifiuto del corpo, da stati depressivi agli attacchi di panico, dove il godimento non trova le parole. È stato ipotizzato che percorra anche la strada della sublimazione, nelle nuove forme di danza e nel teatro gestuale, dove i movimenti di un corpo continuamente scomposto e ricomposto, in una sorta di sovraeccitazione motoria, sembra imporsi laddove la parola o il gesto convenzionale rivelano la loro insufficienza espressiva.

Facciamo dunque una breve riflessione sul valore dell’analisi per l’isterica: se l’analisi come ha sottolineato Elisabeth Tamer, non può cambiare l’inconscio, ma può influire sul modo in cui il soggetto vive gli effetti di linguaggio, si tratta con l’isterica di puntare a riconciliare il desiderio e il godimento in modo da permettere un arresto dello scivolamento perenne del desiderio, riuscendo finalmente a vedere “il nuovo nello stesso”, cioè riuscire a riscontrare aspetti di novità nella relazioni consuete. Proprio in questi giorni una mia analizzante mi ha mandato il seguente wapp: “Mi sento in un rapporto normale e questo mi fa sentire strana, felice ma come se non sapessi bene cosa fare…”

Bibliografia essenziale:

Studi sull’isteria, OSF, vol. I

L’interpretazione dei sogni, OSF, vol.  III, pp. 142-145

Frammento di un’analisi  di isteria, OSF, vol. IV

Inibizione, sintomo e angoscia, OSF Vol. X

Introduzione alla Psicoanalisi (Nuova serie di lezioni), OSF vol. 11

  1. Lacan, Sem. IV cap. VIII

Lacan, Sem.V, cap. XX

  1. Lacan, Sem. VIII, cap. X, cap. XI
  2. Lacan, Sem. XVII, cap. II, cap. VI
  3. Lacan, Sem. XX, cap. VI
  4. Lacan, Intervento sul transfert, in Scritti, vol. I pp. 208-219
  5. Lacan, La direzione della cura, in Scritti, vol. II, pp. 615-629

 

[1] Il famoso dipinto di André Brouillet, Une leçon clinique à la Salpêtrière (1887), ci mostra Jean-Martin Charcot regista sapiente di una pièce composta di un prologo e quattro atti avente come protagonista la sua paziente più famosa, Blanche Wittman, e come aiuto regista il celebre neurologo Joseph Babiński, che reggeva la donna. I momenti della crisi dopo l’aura (caratterizzata da dolori ovarici, palpitazioni, senso di bolo al collo, soffocazioni, sibili, offuscamento della visione), erano quattro: 1) l’epilettoide, simile appunto, ad un attacco epilettico 2) il clownismo (con contorsioni e grandi movimenti, tra cui il famoso “arco isterico”) 3) il periodo degli atteggiamenti passionali (con deliri e partecipazione in prima persona ad un dramma al quale la paziente credeva di assistere) 4) il periodo terminale, turbato spesso da allucinazioni e da uno stato melanconico.

 

[2] La lesione sessuale che, secondo la mia esperienza, rappresenta il più importante e unico fattore etiologico imprescindibile dell’isteria.” (OSF, vol. I, p. 160)

[3] I cinque casi sono quelli di Anna O,  di Emmy Von N, Miss Lucy R, Katharina e Elisabeth Von R.

[4]Voglio offrire una cena, ma non ho altre provviste tranne un po’ di salmone affumicato. Penso di uscire a comprare qualcosa, ma mi ricordo che è domenica pomeriggio e che tutti i negozi sono chiusi. Voglio telefonare a qualche fornitore, ma il telefono è guasto. Così devo rinunciare al mio desiderio di fare un invito a cena.”