Oppenheimer-Prometeo e il furto del fuoco

“Giocare col fuoco”: espressione divenuta proverbiale a indicare il maneggio di un
elemento su cui non abbiamo effettiva padronanza, sottratto al controllo, alla nostra
disponibilità. Simbolo divino per gli antichi, che identificavano nel fulmine il potere del dio
supremo, o quello della natura che: “l’ha fatto sottile più di tutti, con elementi minuti e
mobili, ai quali niente assolutamente può opporsi” (Lucrezio, De rerum natura, VI, 225-27).
Che passi dalle mani del dio a quelle dell’uomo, o dalla natura alla cultura, a
strumento del progresso umano, questa “presa di potere sul fuoco” – lo segnala Freud in
L’acquisizione del fuoco (Opere, vol XI) – comporta un salto che Prometeo, il Titano che si
rende protagonista del furto del fuoco al dio, in qualche modo incarna “colmandolo” col
suo stesso essere a metà fra divino e umano.

Tre aspetti principali, per il Freud di questo breve saggio, sono contenuti nella
leggenda di Prometeo: la modalità con cui il fuoco viene rubato, la natura “trasgressiva”
di tale atto e, infine, la punizione che ne consegue. L’acquisizione del fuoco è un’empietà,
reca con sé qualcosa che avvicina l’uomo alla capacità demiurgica del dio, un potere di
plasmare, di creare, che si ritorce però contro chi l’ha compiuta: Prometeo è incatenato a
una roccia e ogni giorno un rapace viene a divoragli il fegato, per gli antichi sede delle
passioni, osserva Freud.
Lo straziante grido che egli lancia nel Prologo della tragedia di Eschilo – mentre
Efesto, assistito da Potere e Forza, lo conduce al supplizio che Giove gli ha riservato –
sintetizzano questo destino: per un dono che ai mortali io porsi, /sotto il giogo sono io di
tal destino: / la furtiva predai fonte del fuoco / nascosta entro la fèrula, che agli uomini /
maestra fu d’ogni arte, ed util sommo. / Di tal misfatto pago il fio, nei lacci,/ a cielo aperto,
turpemente avvinto.

Col richiamo in esergo a Prometeo inizia il biopic di Christopher Nolan dedicato a
Oppenheimer, a segnalare da subito il taglio tragico con cui decide di ripercorrere la
vicenda umana del padre dell’atomica. Prometeo-Oppenheimer, alfa e omega di questo
arco “dal nome vita ma dall’opera di morte” (Eraclito), ripete – ormai “scatenato” – il
tracotante gesto originario: sottrae alla materia il suo segreto più intimo offrendo all’uomo
una moltiplicata potenza del fuoco. Nessuna distanza “logica” fra “il primo fuoco” acceso
all’alba dell’umanità, dono dell’ingegno che “vede più avanti” (è il senso del nome
Prometeo), e quello sprigionato dall’ordigno concepito dal fisico americano.
Costruttore di mondi e inceneritore degli stessi in nome di una supremazia tecnica
che fa la grandezza e la miseria di questo personaggio “umano-troppo umano”, alle prese
con gli eccessi “impensabili” che scaturiscono dalle conseguenze del proprio atto
(tormento infinito del senso di colpa), come confida ad Albert Einstein nel dialogo,
visualizzato già dall’inizio ma del cui contenuto veniamo messi a parte solo nella scena
finale: disvelamento di una verità che fa orrore.

Una “reazione a catena”: quella che rende possibile la liberazione dell’immensa
forza racchiusa nell’atomo e insieme quella che determina effetti inquietantemente non
governabili sulla nostra specie quando tale forza è messa al servizio del potere. Una
reazione a catena cui il suo inventore si sente orami a propria volta incatenato: intimo
tormento assai più devastante di quello patito “dal di fuori”, nella persecuzione subita per
via della sua antica vicinanza alle idee comuniste che insistentemente – Nolan indugia a
lungo su questo – gli verranno rimproverate negli anni.
Il modo con cui Prometeo ruba il fuoco trattiene l’attenzione di Freud nel saggio del
‘32. La scintilla è celata all’interno di una canna (fèrula), un bastone cavo che nasconde
alla vista del dio ma che protegge a un tempo dagli effetti “incendiari”. Freud osserva che
questa canna simboleggia la strumento in grado di aver ragione del fuoco, della sua
potenza distruttiva. La canna simboleggia il pene, il cui fiotto di urina sarebbe in grado di
estinguere la fiamma.

Dunque il fuoco è donato all’uomo insieme a un limite (il fallo, che include la
castrazione), limite che contenendo protegge. Includendo anche una capacità di opporsi
alla natura devastante del fuoco. La fiamma non è libera. Il godimento mortifero può
trovare un contenimento. Sarà allora veramente capace di estinguere l’incendio con la
propria acqua? O questo fiotto di urina resterà solo il simbolo di un’ambizione senza
misura, cifra di una hybris irredimibile, destinato a portarlo all’auto annientamento?

Graziano Senzolo

Pubblicato sul blog il 05/11/2023